Quando Carlo scrive di essersi riconciliato con il figlio, Samuel esprime fantasie suicide: «Non sento il male che ho fatto, ma mi sento male». Sul fondo di quest’ambiguo rapporto c’è la fascinazione per le catastrofi e la difficoltà di capirsi, accettare, cambiare. La durezza della prima parte si stempera in un sentimentalismo, pur controllato, che toglie mistero e inquietudine. Ma Grisù (il draghetto dei cartoni animati evocato da Samuel) è un esordio molto promettente in mezzo a tanti superflui.
Goffredo Fofi (Internazionale)

Samuel ha ventitré anni, è in prigione, ha appiccato sette incendi: gira in tondo nella sua cella e osserva la neve che cade incessantemente, risponde alle domande degli psicologi, degli avvocati. Nel suo passato, un vuoto di parole e le ragioni come un muro bianco. Fuori c’è Carlo che, dopo aver perso tutto in uno degli incendi, inizia a scrivere a Samuel lunghe lettere, vorrebbe capire il suo gesto ma finisce per raccontargli la propria vita, forse intravedendo in lui il figlio che non ha saputo accettare e di cui ora inizia a sentire la mancanza. Mentre il mondo si mostra attraverso le sue catastrofi – eruzioni, cicloni, gli incendi – tra chi brucia e chi è bruciato si instaura un dialogo che, tra silenzi e improvvise accelerazioni, coinvolge il lettore in una struggente riflessione sull’omosessualità, la colpa e il perdono.
Grisù, Bellinzona, Casagrande, 2007
Version française, 2013: Sans peau, Editions d’en bas
Ebook (Casagrande Edizioni, 2022)
Ti scrivo perché è colpa tua e perché penso sia giusto che tu veda al di là della bella luce dei tuoi incendi, di cosa sei stato capace. E perché non so bene a chi dirlo, che ho perso tutto. Tre anni fa ho perso mia moglie, Donatella. Dopo trentasei anni di matrimonio: una donna dolce, che se ne è andata senza fare rumore, un cancro lento, orribile. E’ stata una perdita inammissibile: abbiamo fatto tutto insieme, dai diciott’anni in su, l’avevo conosciuta all’inizio dell’università, volevamo finire la vita insieme. Ma lei è partita prima, lo ha fatto con tenerezza e credo che questo mi ha fatto ancora più male, con attenzione anche alla mia sofferenza e alla fine soffriva moltissimo, si sentiva completamente riarsa, non riusciva più a bere, era diventata irriconoscibile, con le labbra piene di crepe, mi ha lasciato un vuoto assurdo, come un deserto. Al funerale ho rivisto mio figlio: non ci parliamo da anni. Come accade in molte famiglie, d’accordo.
Ti racconto tutti questi fatti miei perché ti sia chiaro: sono solo, mi restava una casa, era il mio rifugio, la mia tana. E tu mi hai tolto gli oggetti che popolavano quel che mi restava d’amore e d’affetto. Le lettere di Donatella. Le fotografie di Piero. Le foto dei cani: ne abbiamo avuti tre e sarò forse ridicolo: non poter più guardare le loro immagini, anche se erano chiuse in un cassetto, mi lascia un senso di vuoto spossato, una fatica in cuore, niente oggi è più possibile per me. Continuo a vivere, Samuel, continuo ad andare al lavoro quasi automaticamente, tutti mi dicono che sono una roccia, che faccio bene a continuare la mia vita. Ma è come se un braccio mi fosse stato amputato, sai, di notte mi sveglio di soprassalto, convinto che posso, che devo ancora salvare qualcosa, correre fuori in piena notte in pigiama (come tu mi hai visto, no? Con che diritto, me lo spieghi?) tirandomi dietro quelle due-tre cose che voglio ad ogni costo salvare. E invece non ho salvato proprio niente, quella notte non c’era tempo, la situazione era già abbastanza grave, e i pompieri mi hanno detto che ho avuto il riflesso giusto a non salvare niente, a non perdere tempo e scappare fuori. In pigiama, davanti a tutta quella gente. Mi hanno messo addosso una coperta, una signora gentile (una vicina, credo) mi ha portato un po’ più in là. Dalla notte seguente ho dormito in albergo. Ed ora qui. Ecco ora lo sai: lo hai fatto tu, è colpa tua. Qualcuno te l’ha detto che sei un mostro? O ti hanno mandato subito uno psicologo tutto patetico a cercare di capire perché e percome? Se troveranno un perché, a me non interessa, volevo dirtelo.