La mise en abyme riporta in superficie verità, bisogni, fragilità non più nascoste ma rivendicate, libertà individuali in dialettica con una società coercitiva. Si tratta di messaggi universali comunicati attraverso linguaggi primordiali come il corpo e la sua arte per eccellenza, la danza. Muoversi con armonia e conoscenza per andare oltre il dolore e affermare il proprio amore, in primis verso sé stessi, per poterlo irradiare a chiunque in grado di sentirlo. Sara Lonati, Viceversa Letteratura, 16.9.2024

Immagine di copertina:
Pierre Piton dans Actéon de Philippe Saire (2018),
fotografia di scena di Philippe Weissbrodt
Prima dell’alba, un altro sogno erotico, da cui si sveglia di soprassalto, forse a causa di un colpo di vento sulle persiane. Un uomo con la barba gli sta parlando nell’orecchio, sente il calore delle sue labbra e il soffio che solletica il lobo. Non è sgradevole, l’uomo con la barba si tiene a distanza, tra i loro corpi ci sono un paio di centimetri. Pur essendo distanti, percepisce l’erezione dell’altro. Senza che possa dire quando, la mano dell’uomo si è posata proprio lì, in mezzo alle sue gambe. Non sfrega, non preme, si limita a far penetrare un calore dolce tra le fibre del cotone, la sua mano è enorme. Ha la voce di qualcuno che conosce, ma siccome bisbiglia non riesce a capire cosa sta dicendo, allora gira la testa verso di lui e incontra due occhi neri febbricitanti. Appoggia la fronte sulla sua fronte. Potrebbe baciarlo, e proprio in quel momento lui si allontana come spinto da un’improvvida folata di vento, si mette a ballare in un cerchio di luce accanto al letto. È nudo, l’aplomb perfetto, il petto ricoperto di peli neri. Esegue con grazia alcune figure larghe e lente, con le braccia e con le mani aperte. Sembra che quelle braccia non vogliano finire mai, si attorcigliano come serpenti, ricadono in basso e formano archi e girandole, diventano nastri, stoffa. La testa lucida è imperlata di sudore, quando si riavvicina ha i riccioli neri e glieli sbatte in faccia come fossero fruste, cinghie, nodi di serpi. Il volto è quello di un quadro famoso, per quanto cerchi di ricordarsene – all’interno del sogno – Andrea non ne ha che un vago ricordo ed è un ricordo brunastro e tremendamente eccitante, c’è una violenza sommessa che non vuole, che lo respinge, in quell’immagine. Cerca allora di agguantarlo per i capelli, sente distintamente strapparsi un ricciolo sotto le dita; poi la sua voce che dice: mi piace quando mi tiri i capelli. Vorrebbe togliergli i vestiti, buttagli le braccia al collo, stenderlo per terra e fare di tutto con lui. Al contempo, ne ha paura. La luce è sempre più accecante, è imbarazzante che tutto si svolga in modo così scoperto. L’uomo adesso si sta allontanando di spalle, tirandosi dietro un lunghissimo strascico, un mantello composto di pezze di velluto rosso e nero. Piove. Quando con la mano lui gli toglie le gocce da una spalla nuda, si accorge ch’è sangue. Ora non ha più paura, sente qualcuno cantare lontano, una voce di donna, acutissima, sfrega quel sangue tra le gambe e mentre sta per venire si sveglia.
Version française:

Revue de presse: page 2