Quanto alla madre, inchiodata nel passato,
il suo grido via via si fa più fioco,
se morirà del sonno quieto dei viventi
per lei la notte il gridare andrà perdendosi.
Quanto ai padri, per loro,
non ci sarà la folgore
né castigo, soltanto il lungo esilio
della terra più volte inseminata.
L’esilio che ho fuggito:
maschio tra i tanti, nel greto della notte,
oscuro canto e politico. Rivolta contro me stesso.
Canto oscuro e politico, in « Settimo Quaderno di Poesia italiana », introduzione di Franco Buffoni, Milano, Marcos y Marcos, 2001
« Qualcuno potrebbe obiettare che la nevrosi di un autore nato alla fine degli anni sessanta non sia argomento sufficientemente indicibile per scomodare le categorie dell’oscurità e della politica. Che solo quando ciò che non si può dire è davvero indicibile (Celan) sia lecito sillabare le pietre. Se no, no. Vogliamo, per una volta, accettare l’idea che l’indicibile sia “relativo”? Vogliamo pensare che le mura di una casa borghese, che una crescita apparentemente “serena”, una famiglia apparentemente “normale”, possano rappresentare l’atrocemente indicibile? Che il ricatto affettivo domestico, i racconti sussurrati a mezza bocca – e uditi spaventosamente nell’infanzia – possano valere il “trobar clous”? L’accettazione o il rifiuto della poesia di Lepori sta tutto qui. Nella supposizione che tragedia sia Lear, ma che essa possa essere anche Falstaff, e non su un piano inferiore. Semplicemente su un piano diverso, più sottile, se possibile, più disperato ». Franco Buffoni, estratto dalla prefazione
« Fra le sillogi presentate da Poesia contemporanea – Settimo quaderno italiano (Marcos Y Marcos) spicca quella di Pierre Lepori intitolata Canto oscuro e politico. Lepori, nato a Lugano nel 1968, è critico letterario e cinematografico, corrispondente da Losanna per la Radio svizzera e direttore della redazione italiana del Dizionario Teatrale Svizzero, nonché traduttore e autore teatrale. Ha a lungo atteso a manifestarsi come poeta e ciò ha dato i suoi frutti: la silloge è un distillato di agon verbale («Il solo fatto che si allunghino e torcano / parole, disegnando profili nel silenzio / mi dà un sussulto fisico, un brevissimo / senso di quel ch’è un fiore / prima che il giorno scenda») e riflessioni amare sull’esistenza e sullo scopo dell’umano agire («Dio delle povere ossa, / delle spalle a muro, / seminati a pianto i giorni di pigrizia uguale e dura / portavano a questo dunque?»). Principale caratteristica dell’opera di Lepori è una sorta di violenza disperata in cui lo scatto è palese segno di passione e mai gratuito sfogo: «E l’inutilità va fatta tacere a suon di botte», in convivenza felice con più eteree pennellate. Tutte le caratteristiche sviluppate nella prima parte della silloge si precisano nella seconda, in cui l’aggettivo “politico” del titolo è da intendere nell’accezione originaria (l’aristotelico “animale politico”) e trascina con sé vasti squarci di invocata comunione, focalizzati sul tema dei padri la cui eredità è sempre mista di opportunità e vergogna. Bruciante l’equivalenza implicita: «generazione per generazione, dolore per dolore»; e ancora: «universo tragedia». Una possibilità di soluzione viene, politicamente, dalla vox populi: «Forse avevano ragione per le strade: / non c’è che un modo, / l’unico per buttare all’aria tutto: dinamitare i padri» (e non c’è nulla di ancora adolescenziale in questo!). In questo mondo restituito alla dignità della consapevolezza «il grido è solo grido, non è senso né stemma», la rivolta suprema, persino politica, è quella «contro me stesso», e la parola saprà smascherare la falsità dei padri, la corruzione delle eredità ». Sandro Montalto, « Il Corriere di Como », 25.11.2003
Pierre Lepori, luganese, forte di questa preziosa ‘italianità altra’ esprime uno slancio vitale perfino un po’ arruffato per eccesso di detriti prometeici, in quella sorta di Song of myself che è il Canto oscuro e politico, ossimorico nel titolo e nel programma che comprende infatti la «rivolta contro me stesso» ma anche il canonico progetto di «dinamitare i padri». Di gran lunga preferibile il controcanto esibito nelle altre poesie in cui il racconto di ogni singola ‘emozione’ è contenuto nei termini di disegno nitido e sicuro: «potrebbero essere un giorno e un’ora qualunque / e invece sono le sette di sera / la luce del sole radente / e il vento / e tutto è traslucido e perso». Fabio Zinelli, « Semicerchio », 26/27, 2002